17/11/10

Pippo e il Portonaccio

Foto d'epoca del tetto divenuto ora di CasaBat visto dalla casa di fronte.

 Stasera due generazioni si sono "incontrate". "Incontrare" dal lat. in-contra, dirimpetto. "Imbattersi camminando" o anche "succedere". Entrambe vanno bene infatti per raccontare quello che ci è successo stasera:

I protagonisti: due studenti del Dams che stanno girando un documentario su Via S.Caterina ed io.

L'azione: Ci siamo "imbattuti" grazie ai consigli dell'oste di via Saragozza e del suo amico Ivo, in un personaggio storico di via S.Caterina: il sig.Pippo, un arzillo novantenne.
I sig.Pippo ci ha raccontato gli aneddoti su questa via avvolta da una strana atmosfera al contempo popolare e misteriosa. 
Vi voglio leggere (fate finta che lo faccia ad alta voce) quello che ho trovato su un blog anonimo che qualcuno ha scritto su codesti luoghi:

"In quella strada si imparava tanto: codici che rimangono nella mente come quello, importante della solidarietà tra povera gente.
Non parliamo di un secolo fà, bensì della metà degli anni '70.
Allora Santa Caterina non rivaleggiava più con Via Mirasole o il Pratello per chi fosse la strada più malfamata. Tanta gente era, giustamente, andata a vivere nelle case popolari fuori dalle mura con riscaldamenti e sciaquoni. (...)
Dalla porta della casa di mia nonna, se si guardava in alto, c’era una giungla di piante e rampicanti. In basso due rampe di scale ripidissime su cui si aprivano finestre le cui grate non proteggevano dai suoni e dai rumori. La vita delle scale entrava così, prepotente, nelle stanze…
Qui il cortile interno era lungo, stretto e, a tratti scivoloso di muschio. Due lati di case basse e le cantine comuni e sul terzo un muraglione a cui era appoggiato il vecchio pozzo coperto da una pesante lamiera e, a quanto si diceva, ancora perfettamente funzionale. Forse, nonostante l’alto muro, la disposizione del cortile permetteva comunque al sole di entrare.
Lavatoi, passaggi, ballatoi tutti necessariamente in comune, 'che il concetto di riservatezza non è patrimonio della miseria…Tra tutti i cortili il Portonaccio era il più vasto e malfamato. Lì dentro si aprivano alcune botteghe e la sera del giorno dedicato a Santa Caterina si accendeva un grande falò che era il culmine di una festa fatta di tavolacci in mezzo alla strada, pignatte portate giù per le scale e ubriacature pubbliche solennemente celebrate…Dall’interno del Portonaccio il suono del martello sull’incudine del fabbro si mischiava alle grida, ai richiami, alle imprecazioni che riempivano il cortile...Androni bui ed oscuri quasi come tanti viatici verso la luce dei cortili…In case piccole e spesso con il cesso in comune su un pianerottolo, la vita era fuori. Sotto i portici e nei cortili. Una strada che era un paese e, come tutti i paesi, ognuno conosceva tutti e tutto di tutti.
In Santa Caterina i panni sporchi non potevano essere stesi in casa perché era la strada la casa…Sotto quel portico la mia infanzia vede ancora gradini che scendono verso botteghe da carbonaio, fruttivendoli, e altri nomi antichi, bui e odorosi inframezzati da portoni sempre aperti. Bucchette della posta forzate o con nomi sgrammaticati, attaccati con nastro adesivo. Bidoni dell’immondizia cilindrici e metallici.
Odori di soffritto e chissà che altro...Come tutte le strade dentro porta, anche S. Caterina (conosciuta più come il Borghetto) era, all’inizio del secolo trascorso, l’archetipo della periferia e del ghetto popolato da ladri, puttane e pochi di buono e con fama uguale e superiore ad altre strade immediatamente dentro le mura come il Pratello, Solferino e Mirasole.
Vie buie e povere con codici personali nati nella strada.
Negli anni ’60 c’erano rimaste solo la dignità e la speranza ma, anche queste, una dozzina d’anni dopo vennero sfrattate per risanare e speculare sul mattone. ..
Ad un paio di centinaia di metri da dove paganesimo e cristianità si congiungono nel portico più lungo d’Europa, c’è una chiesa che interrompe, per un attimo, la lunga linea del portico addolcita dai giardini dopo il Cassero. La Chiesa, dedicata a Santa Caterina mostra lo scorcio di una strada stretta, a differenza delle altre successive, non nobilitate da un porticato. Muri,da una parte e dall’altra, come una ferita. Chi si addentra in questo capillare urbanistico, si troverà allo scoperto per qualche decina di metri. Poi, sulla sua sinistra, un lungo portico che, nella mia memoria sarà sempre e comunque irregolare, sconnesso, a volte talmente basso da permettere che i miei balzi infantili toccassero le travi in legno malamente ricoperte di intonaco. (...)".

Le prossime sere tornerò a camminare sotto il portico della via, Pippo di Solito è sempre lì, che chiacchera all'osteria S.Caterina e se passate chiedetegli di farvi vedere la foto che c'è appesa al muro. Vi dirà i nomi di tutte "le sdore" in posa sotto al portico, sorridendo ai ricordi di un tempo.

Bat

1 commento:

  1. Bella bologna, ha un fascino rimasto in tatto. via s.caterina poi è un tripudio di colori...da vedere soprattutto in estate
    ciao
    baci

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