22/07/12

Polpettine di amaranto


















 Dopo una domenica di pulizie non potevo non risporcare la cucina preparando qualcosa di buono.
Oggi mi sono buttata con l'amaranto, un alimento che mi era del tutto sconosciuto...Il risultato è stato delizioso quindi che dire...viva l'amaranto!

Ingredienti:
1 bicchiere colmo di amaranto
3 bicchieri di acqua
1 patata
misto per soffritto qb
sale qb
pepe qb
cumino 3 cucchiai
semi di sesamo qb
menta e basilico sminuzzati
farina di riso, pan grattato e formaggio a piacere

Procedimento:
Far bollire l'amaranto 20 min nell'acqua e sbollentare la patata. Lasciare che l'amaranto si raffreddi (deve assorbire tutta l'acqua di cottura) e successivamente mescolarlo alla patata schiacciata, al misto per soffritto (va bene anche surgelato) e a tutti gli altri ingredienti eccetto il sesamo. Esso servirà, mescolato alla farina, per rotolarci le polpettine e farle saltare direttamente in una padella con olio d'oliva.

Cercate la giusta consistenza delle polpettine facendo un primo tentativo. Aggiustate di farina e pan grattato se dovessero tendere a schiacciarsi durante la cottura.

Buon appetito :-)

Bat




26/06/12

Aion#001



Ieri sera ho avuto la magica e fortuita occasione di imbattermi in "Aiòn#001" (Fuori Orario, rai3),  un'opera tra cinema e installazione del regista e artista digitale sardo Marco Rocca che ha riletto in modo innovativo il cinema di Bergman. Aion#001  è il primo di una serie di performances che presentano al pubblico i risultati di una ricerca basata sulle modalità percettive. «Dovete dimenticare il logico-verbale ed abbandonarvi al flusso emotivo dei suoni e delle immagini. Perdere la dimensione del tempo» suggerisce Rocca per indicare come il filmato promette una esperienza di visione e ascolto totale, frutto di una lunga ricerca condotta dal performer per anni dentro uno degli ensemble sperimentali più vivaci d’Italia, Machina Amniotica. “Aiòn#001” è stato presentato dal vivo – da Stoccolma a Tokyo e Venezia utilizzando la somministrazione contemporanea di BBF (binaural beat frequencies), una spazializazione sonora in dolby surround 5.1 e di immagini. Il risultato è una percezione “pluridimensionale” del momento (tempo aiòn). Poeticamente straordinario, un viaggio assolutamente da provare.

Playlist video qui

23/03/12

Quant'è buono il pane fatto in casa?


Era da un pò di tempo che non mettevo le mani in pasta...di pane. Ogni volta è una soddisfazione grandissima oltre che una delizia vera. Questo week-end vi lancio la sfida: mettetevi al tagliere con acqua, farina, lievito, un cucchiaio d'olio extra vergine e un pò di sale. Vi stupirete a pensare: "non credevo fosse così facile!?!"

Penso a quanti tra noi abbiano iniziato ad avere intolleranze alimentari, dovute all'uso irresponsabile di sostanze che tutto sono tranne naturali.

Mangiare le cose preparate da noi ci permette di sapere esattamente da cosa è composta una pagnotta, un biscotto o una ciambella.

Io adoro ad esempio le farine del "Mulino del dottore" , un antico mulino del XVII secolo con 4 macine in pietra. Si può anche andare a visitare, un'idea carina per una scampagnata fuori porta.

Ma questa è un' altra storia...

Partite dunque da una buona farina, leggere le etichette aiuta sempre e se volete consigli...Sapete dove trovarmi.

Buon week-end

Bat

23/02/12

Lettera alla danza di Nureyev



"Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.
Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consunte ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine coso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.
Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.
Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando, e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.
Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita… "

RUDOLF NUREYEV

Grazie cugi per averla condivisa con me <3

Bat