29/11/10

Milano al metro quadro














Sono gli ultimi giorni per godersi la personale dell'amico e fotografo Federico Comelli Ferrari, milanese di adozione, che, con i suoi scatti, cattura la metropoli di Milano ed i suoi monumenti, imprimendo ciascuna immagine in pannelli di matacrilato di 1 mq. Una mostra multiprospettica, compressa nell'istante dello scatto eppure così dinamica e policroma in maniera sorprendente.

Palazzo Pirelli, l'ago e il filo di Piazza Cadorna, il Castello Sforzesco ma anche il ponte presso la stazione di Porta Genova, per fare alcuni esempi, sono protagonisti della mostra "Milano al Metro Quadro".

Lo sguardo di Federico coglie una metropoli non più "grigia" ma meravigliosa nei suoi mille aspetti e sfaccettature: i simboli del capoluogo lombardo, si colorano e si confondono in un richiamo al cubismo nella decostruzione prospettica e alla Pop art nel rendere le opere colorate e fruibili a tutti.

L'artista ripropone i gioielli della Milano contemporanea esaminandoli centimetro per centimetro, spolverandoli della percezione comune riscoprendo, così, un linguaggio visivo capace di rilanciare la loro funzione simbolica". Commentano i curatori Giacomo Momo Gallina e Federico Melegaro.

Mostra 24 novembre | 05 dicembre, ore 15.00-20.00. Presso lo Spazio Stendhal - Via Stendhal 36, 20144 Milano. Ingresso libero.

17/11/10

Pippo e il Portonaccio

Foto d'epoca del tetto divenuto ora di CasaBat visto dalla casa di fronte.

 Stasera due generazioni si sono "incontrate". "Incontrare" dal lat. in-contra, dirimpetto. "Imbattersi camminando" o anche "succedere". Entrambe vanno bene infatti per raccontare quello che ci è successo stasera:

I protagonisti: due studenti del Dams che stanno girando un documentario su Via S.Caterina ed io.

L'azione: Ci siamo "imbattuti" grazie ai consigli dell'oste di via Saragozza e del suo amico Ivo, in un personaggio storico di via S.Caterina: il sig.Pippo, un arzillo novantenne.
I sig.Pippo ci ha raccontato gli aneddoti su questa via avvolta da una strana atmosfera al contempo popolare e misteriosa. 
Vi voglio leggere (fate finta che lo faccia ad alta voce) quello che ho trovato su un blog anonimo che qualcuno ha scritto su codesti luoghi:

"In quella strada si imparava tanto: codici che rimangono nella mente come quello, importante della solidarietà tra povera gente.
Non parliamo di un secolo fà, bensì della metà degli anni '70.
Allora Santa Caterina non rivaleggiava più con Via Mirasole o il Pratello per chi fosse la strada più malfamata. Tanta gente era, giustamente, andata a vivere nelle case popolari fuori dalle mura con riscaldamenti e sciaquoni. (...)
Dalla porta della casa di mia nonna, se si guardava in alto, c’era una giungla di piante e rampicanti. In basso due rampe di scale ripidissime su cui si aprivano finestre le cui grate non proteggevano dai suoni e dai rumori. La vita delle scale entrava così, prepotente, nelle stanze…
Qui il cortile interno era lungo, stretto e, a tratti scivoloso di muschio. Due lati di case basse e le cantine comuni e sul terzo un muraglione a cui era appoggiato il vecchio pozzo coperto da una pesante lamiera e, a quanto si diceva, ancora perfettamente funzionale. Forse, nonostante l’alto muro, la disposizione del cortile permetteva comunque al sole di entrare.
Lavatoi, passaggi, ballatoi tutti necessariamente in comune, 'che il concetto di riservatezza non è patrimonio della miseria…Tra tutti i cortili il Portonaccio era il più vasto e malfamato. Lì dentro si aprivano alcune botteghe e la sera del giorno dedicato a Santa Caterina si accendeva un grande falò che era il culmine di una festa fatta di tavolacci in mezzo alla strada, pignatte portate giù per le scale e ubriacature pubbliche solennemente celebrate…Dall’interno del Portonaccio il suono del martello sull’incudine del fabbro si mischiava alle grida, ai richiami, alle imprecazioni che riempivano il cortile...Androni bui ed oscuri quasi come tanti viatici verso la luce dei cortili…In case piccole e spesso con il cesso in comune su un pianerottolo, la vita era fuori. Sotto i portici e nei cortili. Una strada che era un paese e, come tutti i paesi, ognuno conosceva tutti e tutto di tutti.
In Santa Caterina i panni sporchi non potevano essere stesi in casa perché era la strada la casa…Sotto quel portico la mia infanzia vede ancora gradini che scendono verso botteghe da carbonaio, fruttivendoli, e altri nomi antichi, bui e odorosi inframezzati da portoni sempre aperti. Bucchette della posta forzate o con nomi sgrammaticati, attaccati con nastro adesivo. Bidoni dell’immondizia cilindrici e metallici.
Odori di soffritto e chissà che altro...Come tutte le strade dentro porta, anche S. Caterina (conosciuta più come il Borghetto) era, all’inizio del secolo trascorso, l’archetipo della periferia e del ghetto popolato da ladri, puttane e pochi di buono e con fama uguale e superiore ad altre strade immediatamente dentro le mura come il Pratello, Solferino e Mirasole.
Vie buie e povere con codici personali nati nella strada.
Negli anni ’60 c’erano rimaste solo la dignità e la speranza ma, anche queste, una dozzina d’anni dopo vennero sfrattate per risanare e speculare sul mattone. ..
Ad un paio di centinaia di metri da dove paganesimo e cristianità si congiungono nel portico più lungo d’Europa, c’è una chiesa che interrompe, per un attimo, la lunga linea del portico addolcita dai giardini dopo il Cassero. La Chiesa, dedicata a Santa Caterina mostra lo scorcio di una strada stretta, a differenza delle altre successive, non nobilitate da un porticato. Muri,da una parte e dall’altra, come una ferita. Chi si addentra in questo capillare urbanistico, si troverà allo scoperto per qualche decina di metri. Poi, sulla sua sinistra, un lungo portico che, nella mia memoria sarà sempre e comunque irregolare, sconnesso, a volte talmente basso da permettere che i miei balzi infantili toccassero le travi in legno malamente ricoperte di intonaco. (...)".

Le prossime sere tornerò a camminare sotto il portico della via, Pippo di Solito è sempre lì, che chiacchera all'osteria S.Caterina e se passate chiedetegli di farvi vedere la foto che c'è appesa al muro. Vi dirà i nomi di tutte "le sdore" in posa sotto al portico, sorridendo ai ricordi di un tempo.

Bat

14/11/10

Super8 Film Festival


Sabato era difficile capire dove effettivamente mi trovassi. Il cine-teatro S.Andrea di Milano, aveva per l'occasione una veste insolita e molto underground. Diversi signori col basco sorridevano dietro ai loro banchetti e mostravano la merce esposta: bobine, cineprese di piccole e grandi dimensioni, dischi della musica più svariata e piccoli cimeli cinematografici di tempi lontani ma mai dimenticati.
Era il 1965, quando la Kodak  introdusse sul mercato il super8 per abbattere le difficoltà d'uso. "L'8 mm (detto anche "Doppio 8", perché la pellicola era in realtà una 16 mm e veniva tagliata longitudinalmente dopo lo sviluppo) utilizzato sino a quel momento forniva risultati egregi, ma non era di facile impiego. Il caricamento del film era manuale e doveva avvenire all'ombra o, ancora meglio, al buio. Richiedeva, inoltre (proprio perché la pellicola era in realtà a 16 mm), un doppio caricamento della cinepresa. Per questa ragione la Kodak iniziò a pensare di introdurre un nuovo formato di più facile utilizzo. I dirigenti della casa di Rochester individuarono due linee guida: il nuovo formato doveva essere contenuto in caricatori (oggi sarebbero definiti "cartucce") e doveva impiegare in modo più razionale lo spazio disponibile sulla fettuccia di pellicola (sempre larga 8 mm. Rispetto all'8 mm le perforazioni erano più piccole, così da far guadagnare spazio al fotogramma (circa il 50% più grande: 5,36 mm x 4,01 mm contro 4,37 mm x 3,28 mm del formato precedente. Nacque così il Super 8 mm (aprile 1965) (Wiki)
Il prossimo anno non mi farò trovare impreparata e chissà, magari avrò anche io un piccolo filmato da mandare al concorso o magari si organizzerà qualcosa del genere anche a Bologna, vero Denis?




















Bat

04/11/10

W.Burroughs, il cattivo della Beat Generation



"Beat è il viaggio dantesco, il beat è Cristo, il beat è Ivan, il beat è qualunque uomo, qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato"
Gregory Corso

Autodefinendosi "drogato omosessuale pecora nera di buona famiglia", probabilmente il caro William quel sentiero l'aveva rotto in più e più modi. Amante dei serpenti, delle armi da fuoco (uccise la moglie per sbaglio con uno dei suoi giocattolini), dei gatti e ovviamente delle droghe di cui fu schiavo tutta la vita, il grande Burroughs è stato un grande incompreso del suo tempo, un'anima solitaria che non ebbe mai un vero e proprio rapporto amoroso duraturo, che anzi fuggì dall'amore tutta la vita e la terminò però con queste parole: "Love? What is it? Most natural painkiller what there is".
Tutto questo e molto altro ancora, fa parte di un documentario che uscirà in America il 17 novembre 2010, quindi se mancavate alla proiezione in anteprima avvenuta in occasione dell'evento Gender Bender di quest'anno, armatevi di pazienza e sperate che esca prima o poi tradotto in italiano. Il film vale davvero la pena di essere visto, stupefacente anche il regista, il giovane Yony Lyser, classe 85, che ha raccontato di aver prodotto questo documentario, dove compaiono moltissimi volti noti (Iggy Pop, David Cronenberg, Gus Van Sant ecc.), in seguito alla sua esclusione dalla scuola di cinema. Una sfida dunque la sua, destinata sicuramente ad avere successo e supportata anche dalle bellissime musiche di Patti Smith e dei Sonic Youth che coronano la sua opera magistrale.

Bat